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I 100 anni dell'Internazionale Comunista
STATEMENT OF THE CENTRAL COMMITTEE OF THE KKE
Il Comitato Centrale del KKE celebra il 100° anniversario della fondazione dell'Internazionale Comunista (2-6 marzo 1919). Esso riconosce il contributo che essa ha dato al movimento operaio e comunista mondiale, sottolineando al tempo stesso la necessità di trarre insegnamenti importanti dalle esperienze accumulate nel corso della sua attività.
L'Internazionale Comunista, frutto della vittoria della Rivoluzione Socialista d'Ottobre in Russia (1917), diede risposta alla necessità di coordinamento e di unità nell'ambito del movimento operaio rivoluzionario internazionale.
Il contributo dell'Internazionale Comunista fu importante per il sostegno e il rafforzamento dei Partiti comunisti a livello mondiale e per la disinteressata solidarietà internazionalista che essa dimostrò verso i popoli in lotta e oppressi - per esempio con la formazione delle «Brigate Internazionali» schierate al fianco dell'Esercito Repubblicano spagnolo (1936-1938).
L'Internazionale Comunista offrì un sostegno a più livelli ai militanti perseguitati di tutto il mondo, svolgendo attività editoriali e formative, organizzando scuole per i quadri incentrate sulla teoria rivoluzionaria del marxismo-leninismo e dando vita a una rete per la condivisione di informazioni politiche, che si avvaleva anche di giornalisti.
I problemi e i conflitti originatisi nell'ambito delle strategie dell'Internazionale Comunista, che ebbero conseguenze negative su tutti i Partiti comunisti che ne facevano parte, non sminuiscono il contributo da essa dato al movimento comunista internazionale.
L'eredità dell'Internazionale Comunista e lo studio della sua esperienza sono oggi preziosi per l'unificazione del movimento comunista internazionale, per la creazione di una strategia rivoluzionaria unitaria contro il potere capitalista.
A. Dalla I Internazionale alla III Internazionale (Comunista)
1. Karl Marx e Friedrich Engels, sin dal periodo delle rivoluzioni borghesi, misero in luce il ruolo storico della classe operaia come «becchino del capitalismo» e il carattere internazionalista della sua lotta. Essi determinarono scientificamente la necessità e la possibilità di una rivoluzione operaia comunista, ponendo come postulato necessario per la sua vittoria l'organizzazione internazionale del movimento rivoluzionario. Affrontarono la questione del collegamento della lotta della classe operaia per la conquista del potere con la guerra che gli Stati borghesi combattevano tra loro allo scopo di spartirsi i mercati e le materie prime.
Marx ed Engels aprirono la strada alla fondazione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori o I Internazionale, che fu costituita il 28 settembre 1864 da sindacati operai, società di mutuo soccorso, gruppi politici e culturali e organizzazioni cospirative. La I Internazionale nacque come organizzazione internazionale con sezioni e centrali in vari Paesi. Essa diffuse un appello alla solidarietà internazionale verso i lavoratori, mettendo in guardia la classe operaia, e in particolare gli operai tedeschi e francesi, contro i rischi di un conflitto franco-tedesco che avrebbe potuto trasformarsi in una guerra di annessione. Il discorso inaugurale della I Internazionale, ispirato al Manifesto Comunista, costituì un documento importante sulle lotte e sulle prospettive generali per la classe operaia.
Durante tutta l'esistenza della I Internazionale, Marx ed Engels guidarono la lotta teorica contro le concezioni piccolo-borghesi e di altra natura che impedivano alla classe operaia di svolgere il proprio ruolo indipendente. Combatterono l'opportunismo, il bakuninismo, il lassallismo e il laburismo britannico.
Indipendentemente dai problemi legati alle divergenze ideologiche, e dal fatto che le sue organizzazioni non adottarono il socialismo scientifico, la I Internazionale contribuì al rafforzamento delle azioni dei lavoratori a livello sia nazionale sia internazionale e allo sviluppo del carattere politico di tali azioni. Essa diede impulso alla presa d'atto della necessità di creare partiti politici operai. Il suo scioglimento (1876) fu dovuto alla sua incapacità di svolgere il proprio ruolo in condizioni che diedero vita a nuove esigenze, divenute manifeste dopo la sconfitta della Comune di Parigi (1871), in un periodo in cui il capitalismo stava entrando nella sua fase suprema e finale, l'imperialismo.
2. La II Internazionale fu fondata il 14 luglio 1889 a Parigi, cent'anni dopo lo scoppio della rivoluzione borghese in Francia e la presa della Bastiglia, in un periodo di rapido sviluppo ed espansione del sistema capitalista mondiale, segnato alla formazione del capitale monopolistico e finanziario nonché dal vivace sviluppo del movimento sindacale. Trasse origine principalmente da partiti costituitisi a partire dalle associazioni e dai gruppi precedenti della I Internazionale, nel cui ambito - malgrado il marxismo fosse divenuto la corrente dominante all'interno del movimento sindacale - i riformisti, gli anarco-sindacalisti e altre forze opportuniste mantenevano ancora un'influenza. Questi partiti erano perlopiù deboli, sia sul piano organizzativo sia su quello ideologico-politico, ed erano soggetti a pressioni miranti a limitarne l'azione entro i limiti della legalità borghese.
Il predominio del riformismo nell'ambito dei partiti della II Internazionale finì per trarre un sostegno materiale dai canali delle società capitaliste sviluppate dell'Occidente, che grazie allo sfruttamento delle loro colonie ebbero la possibilità di fare concessioni alla classe operaia allo scopo di dare vita a una vasta aristocrazia operaia.
La II Internazionale non operava come una centrale rivoluzionaria internazionale, poiché non costituì alcun organo direttivo unitario, non elaborò alcun programma o statuto comuni e non pubblicò alcun giornale; inoltre, le decisioni dei suoi Congressi non erano vincolanti per i Partiti nazionali.
La II Internazionale si sciolse nel 1916 a causa del predominio delle deviazioni opportuniste, che condusse al tradimento degli interessi della classe operaia a vantaggio della borghesia nella prima guerra mondiale imperialista.
I leader della II Internazionale si ritrovarono perlopiù schierati in campi imperialisti contrapposti e alcuni di loro divennero ministri della Guerra. Il loro tradimento non costituì un fulmine a ciel sereno, bensì l'esito della loro linea riformista, della loro collaborazione con la classe dominante in tempo di pace e della «difesa della patria borghese» in tempo di guerra. Il riformismo lasciò il posto al socialsciovinismo. Luminose eccezioni furono rappresentate dai bolscevichi russi guidati da V. I. Lenin, dagli internazionalisti-spartachisti tedeschi (Karl Liebknecht, Rosa Luxemburg, Franz Mehring ecc.) e da alcuni socialisti balcanici.
L'Internazionale Comunista dalla fondazione all'autoscioglimento
3. La I guerra mondiale accelerò il processo di trasformazione dei partiti socialdemocratici in partiti borghesi controrivoluzionari. La vittoriosa Rivoluzione Socialista d'Ottobre in Russia nel 1917 confermò le potenzialità di conquista del potere da parte della classe operaia attraverso la rivoluzione. Essa evidenziò una volta di più la necessità di costituire una centrale rivoluzionaria mondiale unitaria con principi rivoluzionari e una struttura organizzativa, ispirata alla teoria di Marx ed Engels e all'esperienza della Rivoluzione d'Ottobre. Lenin guidò la lotta per la creazione di questa centrale. Sollevò la questione del cambiamento dei programmi dei partiti operai, della necessità che essi assumessero il nome di Partiti comunisti e dell'urgenza di fondare una nuova Internazionale.
L'Internazionale Comunista fu fondata in un contesto di ascesa del movimento rivoluzionario in Europa, che si manifestò principalmente attraverso le insurrezioni operaie in Finlandia (1918), Germania (1918-1923) e Ungheria (1919), nonché attraverso le azioni delle avanguardie operaie in tutto il mondo, con scioperi, proteste e il boicottaggio del trasporto dei rifornimenti di guerra contro l'intervento imperialista di 14 Stati contro la Russia rivoluzionaria. L'Internazionale Comunista diede un impulso importante alla fondazione di Partiti comunisti, al di là del fatto che questi partiti, anche laddove ne riprendevano i proclami, non avevano ancora acquisito la maturità politico-ideologica necessaria per formulare un programma scientificamente elaborato e una strategia conseguente.
4. Al I Congresso di Fondazione dell'Internazionale Comunista presero parte 52 delegati di 35 organizzazioni appartenenti a 31 Paesi europei, americani e asiatici; alcuni delegati non riuscirono nemmeno a raggiungere il Congresso poiché furono arrestati dai governi borghesi. Con la fondazione dell'Internazionale Comunista, la frattura che aveva avuto luogo in diversi partiti socialdemocratici fu ufficializzata a livello internazionale e nazionale.
La Piattaforma del Congresso dichiarò: «È nata una nuova epoca! L'epoca della dissoluzione del capitalismo, della sua disgregazione interna. L'epoca della rivoluzione comunista del proletariato». La Piattaforma Programmatica dell'Internazionale Comunista fece propria la dittatura del proletariato, prese posizione contro la democrazia borghese ravvisandovi una forma di dittatura del capitale e diede vita a un Manifesto per il proletariato internazionale.
Nel novembre 1919 fu fondata a Berlino l'Internazionale Comunista Giovanile allo scopo di unire le forze rivoluzionarie dei giovani sulla linea generale dell'Internazionale Comunista, promuovendo la rivendicazione di migliori condizioni di istruzione, di vita e di lavoro per i giovani e la lotta contro il militarismo.
Nel gennaio 1920 fu fondata la Federazione Comunista Balcanica, centrale unificata dei Partiti comunisti dei Balcani, la cui prima risoluzione ne decretò l'affiliazione all'Internazionale Comunista.
L'Internazionale Comunista dovette lottare contro l'influenza della socialdemocrazia sul movimento sindacale. Uscite dalla guerra, la leadership borghese e le forze opportuniste si adattarono alla nuova situazione privilegiando il pacifismo nella loro propaganda, in contrasto con la necessità per la classe operaia di lottare per la conquista del potere. Su queste basi fu rifondata la II Internazionale, e all'indomani della fondazione della III Internazionale funzionò per qualche tempo la cosiddetta «Internazionale due e mezzo», in cui operavano i cosiddetti socialdemocratici di «sinistra». Entrambe le organizzazioni continuarono a esercitare un'influenza nell'ambito del movimento sindacale, anche grazie al sostegno dei governi borghesi. A livello internazionale, esse lottavano contro il potere sovietico. Parallelamente, la II Internazionale e l'Internazionale due e mezzo erano attive nella Federazione Sindacale Internazionale di Amsterdam, sostenuta dall'Ufficio Internazionale del Lavoro, organo dell'imperialista Lega delle Nazioni, con l'obiettivo di promuovere i necessari aggiustamenti da parte della borghesia e la collaborazione tra le classi.
5. Il II Congresso dell'Internazionale Comunista (Pietrogrado e Mosca, 6-25 luglio 1920) approvò per votazione Tesi e Statuto. Le Tesi evidenziarono le questioni dell'immediata preparazione per la dittatura del proletariato, della formazione di un PC unitario in ogni Paese, del rafforzamento delle azioni dei gruppi e dei partiti che riconoscevano la dittatura del proletariato e dell'affiancamento tra attività legali e illegali. Parimenti, si riteneva che l'azione di questi partiti e gruppi non avesse ancora subito «quella radicale trasformazione e rigenerazione che è fondamentale perché essa sia considerata azione comunista, coerente con i compiti esistenti alla vigilia della dittatura del proletariato».
Un documento del Congresso di grande importanza fu il testo delle 21 Condizioni di Ammissione all'Internazionale Comunista presentato da Lenin, che criticava gli opportunisti e i delegati tentennanti presenti al Congresso secondo i quali il bolscevismo era un fenomeno esclusivamente russo. Questo documento dimostrò che il bolscevismo aveva una rilevanza universale, il che non contraddiceva il riconoscimento delle eventuali peculiarità nazionali. Le più importanti tra le 21 condizioni richiedevano l'estromissione dai partiti degli elementi socialdemocratici e degli altri riformisti, l'accettazione del principio del centralismo democratico all'interno di ciascun partito e nell'ambito dell'Internazionale Comunista, l'espulsione degli elementi contrari alle posizioni dell'Internazionale Comunista, la denuncia del social-pacifismo e del socialsciovinismo e, per estensione, del colonialismo.
Lenin, nella sua fondamentale opera «L'estremismo, malattia infantile del comunismo», si oppose al settarismo che ignorava la necessità di unire tutte le forme di lotta, compresa la lotta di massa a livello parlamentare e non. Tuttavia, la necessaria lotta contro questa forma di deviazione fu strumentalizzata dall'opportunismo di destra per rafforzarsi nelle file dei partiti dell'Internazionale Comunista.
Nell'ambito dei lavori del II (e in seguito del III) Congresso dell'Internazionale Comunista si tennero incontri delle delegate donne dedicati al lavoro specifico tra le donne. A Mosca fu creato un Segretariato Internazionale Femminile presieduto da Clara Zetkin.
6. Il III Congresso dell'Internazionale Comunista (Mosca, 22 giugno-12 luglio 1921) tentò di potenziare l'attività dei comunisti nell'ambito delle forze della classe operaia ancora politicamente immature - la maggior parte degli operai organizzati rimaneva infatti prigioniera dei partiti socialdemocratici, mentre in alcune realtà, come quella tedesca e italiana, infuriava una feroce lotta ideologica interna.
Le insurrezioni rivoluzionarie in Finlandia, Germania e Ungheria costituirono eventi storici di grande importanza. Tuttavia, il fatto che non avessero un esito vittorioso determinò un mutamento negativo nei rapporti di forza. Parallelamente, il potere borghese si stabilizzò, con la conseguenza che la questione «riforma o rivoluzione» prese il sopravvento quale elemento centrale della lotta ideologica all'interno delle file del movimento sindacale rivoluzionario. A ciò contribuì anche la pressione esercitata dalla potente influenza della socialdemocrazia sul movimento sindacale, in cui la presenza dei comunisti era debole a causa delle persecuzioni di cui erano oggetto, della loro estromissione dai luoghi di lavoro e della generale propaganda a favore della «decomunistizzazione» dei sindacati.
Il III Congresso lanciò lo slogan «Alle masse» e la parola d'ordine del «Fronte Unico Operaio» mirante a promuovere l'azione comune degli operai in una situazione non rivoluzionaria soggetta all'influenza di organizzazioni politiche e sindacali diverse.
Il problema essenziale fu che nella nuova situazione non rivoluzionaria gli insegnamenti e l'esperienza della linea di lotta rivoluzionaria dei soviet non furono utilizzati. Tra il febbraio all'ottobre 1917, allo scopo di conseguire la maggioranza nei soviet, si era creato un forte fronte ideologico contro i menscevichi, opportunisti che erano in minoranza già prima del 1917 nell'ambito del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR).
Durante il III Congresso dell'Internazionale Comunista, il 3 luglio 1921, fu fondata l'Internazionale Sindacale Rossa (Profintern) con la partecipazione di 220 delegati sindacali di tutto il mondo, con l'obiettivo di unire il movimento sindacale nell'ambito di una linea di lotta rivoluzionaria. Le organizzazioni sindacali che entrarono a far parte del Profintern (direttamente, attraverso sindacati simpatizzanti o attraverso movimenti di minoranza) annoveravano circa 17 milioni di iscritti. Il Profintern cessò le attività alla fine del 1937; di fatto, tuttavia, aveva già cessato di funzionare da quando i sindacati rossi, a partire dal 1934, avevano iniziato a unirsi con quelli riformisti dando vita ai Fronti Popolari.
7. Dopo il III Congresso, la politica del «Fronte Unico Operaio» e i rapporti con la socialdemocrazia divennero il terreno della lotta ideologica all'interno degli organismi dell'Internazionale.
Il «Fronte Unico Operaio» fu interpretato correttamente da alcuni Partiti comunisti come lotta per la nascita di un'influenza comunista tra le masse operaie e per il loro distacco dalla socialdemocrazia. In altri casi, questo concetto fu interpretato come strumento di pressione dal basso atto a modificare le linea dei vertici dei partiti socialdemocratici e a ottenere una collaborazione politica dall'alto. Tale interpretazione non era giustificata.
La lotta si concluse con il prevalere di una linea favorevole alla collaborazione con la socialdemocrazia e alla non esclusione della partecipazione o del sostegno dei comunisti ai governi borghesi, linea che fu adottata dalla risoluzione del IV Congresso dell'Internazionale Comunista (Mosca, 7 novembre-3 dicembre 1922). Il Congresso accettò l'eventualità della partecipazione dei comunisti a governi operai e contadini o a governi operai che non costituissero ancora una dittatura del proletariato, pur non considerando tale partecipazione come un punto di partenza storicamente inevitabile per la realizzazione della dittatura del proletariato.
8. Il V Congresso dell'Internazionale Comunista (Mosca, 17 giugno-8 luglio 1924) giunse alla conclusione che l'essenza dello slogan «governo operaio e contadino» coincideva con la dittatura del proletariato, pur dedicando particolare attenzione alla bolscevizzazione dei Partiti comunisti - cioè al loro sviluppo sulla base dei principi leninisti del Partito di tipo nuovo.
Successivamente l'Internazionale Comunista, seguendo un percorso contraddittorio e altalenante nel suo atteggiamento verso la socialdemocrazia, indebolì progressivamente il fronte contro di essa, che pure si era chiaramente evoluta in una forza politica controrivoluzionaria del potere borghese. In tal modo le posizioni opportuniste di destra si rafforzarono nell'ambito dei partiti dell'Internazionale Comunista.
9. La discussione del Programma dell'Internazionale Comunista, iniziata nell'ambito del III Congresso (1921), culminò infine nel VI Congresso (Mosca, 15 luglio-1° settembre 1928).
Nel Programma si evidenziava correttamente l'analisi leninista secondo cui «L'ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo», e di conseguenza «è possibile la vittoria del socialismo dapprincipio in alcuni e anche in un solo paese capitalistico». Il Programma distingueva tuttavia tre tipologie principali di rivoluzioni nella lotta per la dittatura mondiale del proletariato, che si differenziavano in funzione della posizione di ciascun Paese capitalista nel sistema imperialista internazionale: 1. Paesi a capitalismo sviluppato, in cui era possibile la transizione immediata alla dittatura del proletariato; 2. Paesi caratterizzati da uno sviluppo medio del capitalismo, in cui la trasformazione democratico-borghese non era ancora ultimata e in cui era considerata possibile una transizione relativamente rapida della rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista; 3. Paesi coloniali o semi-coloniali, in cui la transizione alla dittatura del proletariato implicava un lungo periodo per la trasformazione della rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista.
Il carattere internazionale dell'era del capitalismo monopolistico e l'inasprimento della contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro venivano sottovalutati. Per di più, l'analisi dell'Internazionale Comunista non teneva conto del fatto che lo sviluppo ineguale delle economie capitaliste e la diseguaglianza nei rapporti tra Stati non possono essere aboliti nell'ambito del capitalismo. In ultima analisi, il carattere della rivoluzione in ogni Paese capitalista è determinata oggettivamente dalla contraddizione essenziale che la rivoluzione è chiamata a risolvere, a prescindere dai mutamenti relativi di posizione di ciascun Paese all'interno del sistema imperialista internazionale. Il carattere socialista e i compiti della rivoluzione traggono origine dall'inasprimento della contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro in ogni Paese capitalista nell'era del capitalismo monopolistico.
Le caratteristiche dell'epoca - periodo di transizione dal capitalismo al socialismo - furono sottovalutate, così come la capacità dei rapporti di produzione socialisti di dare grande impulso allo sviluppo delle forze produttive, come dimostrato nell'Unione Sovietica.
L'imperialismo fu erroneamente scambiato per una forma di politica estera aggressiva messa in atto da alcuni Stati - i più potenti - mentre nell'ambito del sistema imperialista esistevano decine di Paesi (il capitalismo monopolistico era sorto per esempio in Cina e in Brasile). Al tempo stesso, la caratterizzazione di questi Paesi come dipendenti non teneva conto dell'interazione di interessi tra la borghesia straniera e quella nazionale.
Un altro problema fondamentale era che potenti forze politiche borghesi già al potere prendevano parte a processi rivoluzionari, come avvenne in Turchia e nel caso delle classi borghesi del Marocco, della Siria eccetera.
Il VI Congresso Programmatico dell'Internazionale Comunista evidenziò correttamente che «la guerra è inseparabile dal capitalismo». Da questa affermazione conseguiva chiaramente che «l'"abolizione" della guerra è possibile soltanto attraverso l'abolizione del capitalismo». Gli operai vennero esortati a «trasformare la guerra» che minacciava di scoppiare tra gli Stati imperialisti «in guerra civile proletaria contro la borghesia per l'instaurazione della dittatura del proletariato e del socialismo».
Quanto alla natura del fascismo, il Congresso riteneva che si trattasse di una forma di reazione imperialista del capitalismo in presenza di specifiche condizioni storiche; «allo scopo di garantire una maggiore stabilità [...] e durata del proprio potere... la borghesia di più in più è costretta a passare dal sistema parlamentare al metodo fascista».
Riguardo alla socialdemocrazia, si dichiarava: «nei momenti più critici per il capitalismo, non di rado assume le funzioni del fascismo. Nel corso del suo sviluppo essa manifesta delle tendenze fasciste». Questa valutazione non era corretta. In realtà, contrariamente alla rivoluzione socialista, i socialdemocratici svolsero la funzione di «estintori» a disposizione dei governi borghesi liberali, lasciando spazio all'alternanza di questi ultimi con governi fascisti.
10. Prima del VII Congresso dell'Internazionale Comunista (Mosca, 25 luglio-21 agosto 1935), i Partiti comunisti francese e spagnolo, in accordo con il Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, avevano chiesto una cooperazione con i partiti socialdemocratici. D'altronde, in questi Paesi si erano costituiti nel 1936 dei Fronti Popolari come forma di cooperazione politica tra i Partiti comunisti e partiti socialdemocratici, altri partiti borghesi e movimenti opportunisti, che avevano preso parte o dato il proprio appoggio a governi che non mettevano in discussione il potere capitalista.
Il VII Congresso definì imperialista l'imminente secondo conflitto mondiale, ma al tempo stesso assegnò la priorità alla creazione di un fronte antifascista. Stabilì anzi che l'emergere di un governo antifascista costituiva una forma di transizione al potere operaio.
La valutazione del carattere del fascismo formulata nel VI Congresso fu sostituita da una posizione secondo cui esso costituiva «l'aperta dittatura terroristica degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario». Il Congresso formulò la problematica valutazione secondo cui nell'ambito dei partiti socialdemocratici si manifestava un «percorso rivoluzionario», il che conduceva alla necessità di «unire i partiti comunisti e socialisti», a patto che i secondi accettassero il rovesciamento rivoluzionario del potere borghese, l'unità di azione con i Partiti comunisti e la creazione di un partito nuovo basato sul centralismo democratico. Queste condizioni poste dal VII Congresso non mutarono il dato essenziale: si crearono illusioni e uno spirito di riconciliazione, confusione e attenuazione del fronte politico-ideologico contro la socialdemocrazia e l'opportunismo.
All'indomani dell'invasione dell'URSS da parte della Germania fascista, l'Internazionale Comunista modificò la sua posizione riguardo al carattere della guerra, definendola antifascista e dichiarando che «...la lotta essenziale è ora rivolta contro il fascismo» e che «nella fase attuale non invochiamo il rovesciamento del capitalismo nei diversi Paesi, né una rivoluzione mondiale... Da questa lotta non dobbiamo estromettere quei settori piccolo-borghesi, intellettuali e contadini che sono apertamente favorevoli al movimento di liberazione nazionale. Dobbiamo invece conquistarne l'alleanza, e i comunisti devono diventare parte di questo movimento costituendone il nucleo e la guida».
Questa posizione sottovalutava il fatto che il carattere della guerra è determinato dalla classe che la conduce e dallo scopo per cui lo fa, a prescindere dal fatto che tale classe si trovi in origine o in un dato momento in una posizione offensiva o difensiva. La lotta contro il fascismo, per la liberazione dall'occupazione straniera e per i diritti e le libertà democratiche fu così separata dalla lotta contro il capitale.
Sulle contraddizioni presenti nella linea dell'Internazionale Comunista riguardo al carattere della seconda guerra mondiale influivano anche le aspirazioni della politica estera dell'URSS e il suo tentativo di difendersi da un conflitto imperialista. Ma in ogni caso, le esigenze della politica estera di un singolo Stato socialista non possono soppiantare l'esigenza di una strategia rivoluzionaria per ogni Paese capitalista. In ultima analisi, la sicurezza di uno Stato socialista dipende dal trionfo del socialismo a livello mondiale o dal suo prevalere nell'ambito di un forte gruppo di Paesi - e quindi dalla lotta per la rivoluzione in ciascun Paese.
11. Il 15 maggio 1943, nel pieno della guerra imperialista, fu deciso l'autoscioglimento dell'Internazionale Comunista sulla base di una proposta presentata dal suo Presidium che fu ratificata da tutti i Partiti comunisti. La decisione fu giustificata con la valutazione secondo cui l'organismo aveva esaurito il suo ruolo storico come forma unitaria internazionale del movimento comunista. La risoluzione di scioglimento osservava che a partire dal VII Congresso era stata evidenziata l'esigenza che il Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista, nel decidere tutte le questioni del movimento operaio «che nascevano dalla situazione concreta e dalle particolarità di ciascun paese, si attenesse alla regola di evitare interferenze negli affari organizzativi interni dei partiti comunisti». Il documento affermava inoltre: «In considerazione di quanto sopra, e tenendo conto della crescita e della maturità politica dei partiti comunisti e dei loro quadri dirigenti nei singoli paesi, e tenendo presente inoltre il fatto che durante la guerra in corso alcune sezioni hanno sollevato il problema dello scioglimento dell'Internazionale comunista in quanto centro direttivo del movimento operaio internazionale, il presidium del comitato esecutivo dell'Internazionale comunista, non avendo la possibilità per le circostanze della guerra mondiale di convocare un congresso dell'Internazionale comunista, presenta la seguente proposta alla ratifica da parte delle sezioni dell'Internazionale comunista: L'Internazionale comunista, come centro direttivo del movimento internazionale della classe operaia, dev'essere sciolta, liberando così le sezioni dell'Internazionale dagli obblighi derivanti dagli statuti e dalle risoluzioni dei congressi dell'Internazionale comunista».
J. V. Stalin giustificò l'autoscioglimento, dichiarando tra l'altro: «[esso] smaschera la menzogna degli hitleriani secondo cui "Mosca", a loro dire, intende intervenire nella vita delle altre nazioni e "bolscevizzarle"».
La decisione di sciogliere l'Internazionale Comunista era in totale contraddizione con i principi che ne avevano ispirato la fondazione. Era in contraddizione con lo spirito e con la lettera del Manifesto comunista, con il principio dell'internazionalismo proletario e con l'esigenza, valida per qualsiasi circostanza, di una strategia rivoluzionaria unita dei Partiti comunisti contro l'imperialismo internazionale.
Diversa è la questione dell'analisi della forma organizzativa che l'unità del movimento comunista internazionale deve avere, delle sue modalità operative e, naturalmente, della costante esigenza di formulare un'unica strategia rivoluzionaria.
12. Dopo la seconda guerra mondiale si manifestò l'esigenza di un'azione unitaria del movimento comunista internazionale contro l'unito contrattacco dell'imperialismo internazionale. L'espressione di tale esigenza fu la creazione dell'Ufficio di informazione (Cominform) da parte dei rappresentanti di nove partiti comunisti e operai (URSS, Jugoslavia, Romania, Bulgaria, Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Francia e Italia) che ebbe luogo a Sklarska Poruba (Polonia) tra il 22 e il 28 settembre 1947. L'incontro fondativo si prefisse l'obiettivo di scambiare informazioni e coordinare iniziative. In realtà, l'Ufficio di informazione svolse un ruolo guida nell'ambito del movimento comunista internazionale, pur non soddisfacendo affatto l'esigenza di dare vita a una nuova Internazionale Comunista. Il Cominform fu sciolto nel 1956, in seguito alla svolta opportunista verso destra seguita al XX Congresso del PCUS e alla crisi del movimento comunista internazionale.
Successivamente furono create forme nuove e più informali di coordinamento nell'ambito del movimento comunista internazionale, quali le conferenze internazionali dei Partiti comunisti e operai, che tuttavia non servirono da base per una singola strategia rivoluzionaria da contrapporre al sistema imperialista internazionale.
Il KKE e l'Internazionale Comunista
13. Prima della fondazione dell'Internazionale Comunista, il Partito socialista operaio di Grecia (SEKE, successivamente KKE) proclamò in occasione della sua conferenza di fondazione (17-23 novembre 1918): «[il partito] si dichiara una sezione dell'Internazionale dei partiti uniti di tutti i Paesi che lottano per il rovesciamento del capitalismo internazionale e per il trionfo del socialismo internazionale».
Il I Congresso Nazionale del SEKE (31 maggio-5 giugno 1919) ripudiò la linea opportunista della II Internazionale e diede istruzioni al Comitato Centrale di preparare l'affiliazione del Partito all'Internazionale Comunista.
Il SEKE, attraverso il suo delegato Dimosthenis Ligdopoulos, partecipò alla fondazione della Federazione Comunista Balcanica nel gennaio 1920.
Il II Congresso del SEKE (18-25 aprile 1920) decise l'affiliazione all'Internazionale Comunista, accettandone i principi e le risoluzioni. Decise inoltre di aggiungere il termine «comunista» al nome del partito, per rispecchiarne le nuove elaborazioni strategiche legate alla sua decisione di entrare a far parte dell'Internazionale Comunista.
Seguì un periodo di lotte interne al partito contro le forze deviazioniste di destra che mettevano in discussione la strategia rivoluzionaria dell'Internazionale Comunista in nome delle «specificità nazionali».
Infine, il III Congresso Straordinario del SEKE (26 novembre-3 dicembre 1924) decise l'accettazione senza riserve delle risoluzioni dell'Internazionale Comunista e della Federazione Comunista Balcanica e l'assunzione da parte del partito del nome di Partito Comunista di Grecia (Sezione greca dell'Internazionale Comunista).
Il KKE ricevette un sostegno importante dall'Internazionale Comunista. Al tempo stesso, la sua maturazione politico-ideologica fu inevitabilmente legata alle vicende del movimento comunista internazionale, dal momento che l'Internazionale Comunista funzionava come un partito mondiale.
I continui cambiamenti e le oscillazioni della linea dell'Internazionale Comunista (per esempio sul significato del «governo operaio e contadino») e i problemi insiti nelle sue posizioni e riflessioni essenziali (per esempio la strategia della «democrazia di sinistra» e la categorizzazione dei vari Paesi durante il VI Congresso) ebbero un effetto negativo sulla formulazione della sua strategia.
Qualunque critica dell'Internazionale Comunista rientra nell'autocritica del KKE stesso; essa non nega la sua storia e il suo contributo, né le responsabilità di ciascun partito membro nei confronti del movimento operaio e popolare del singolo Paese e a livello internazionale.
14. Alla riunione del Comitato Centrale del KKE del 2 giugno 1943 fu accettata la Risoluzione del Presidium del Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista che ne proponeva lo scioglimento. La Risoluzione del Comitato Centrale del KKE dichiarava: «lo scioglimento (...) costituisce oggi l'unico atto adeguato di una politica marxista corretta». Affermava inoltre: «la decisione dell'Internazionale Comunista è la logica conseguenza e l'evoluzione della linea da essa assunta al suo VII Congresso», e aggiungeva che «lo scioglimento rimuove ogni ostacolo al consolidamento della lotta internazionale». Successivamente, il VII Congresso del KKE (1-6 ottobre 1945) adottò una risoluzione sull'«unità politica internazionale della classe operaia». La risoluzione manifestava il «desiderio di integrare quanto prima tutti i partiti operai del mondo che credono nel socialismo, a prescindere dalle sfumature, in una nuova organizzazione politica unitaria internazionale della classe operaia». In sostanza, la questione veniva inquadrata nell'ambito di un'azione comune dei Partiti comunisti e socialdemocratici all'interno di un'organizzazione internazionale.
15. Per il KKE, la questione della valutazione complessiva della strategia, delle vicende e dell'autoscioglimento dell'Internazionale Comunista rimane aperta a ulteriori analisi. Importante ai fini di questo studio è la raccolta delle fonti necessarie riguardo alle discussioni all'interno degli organi dell'Internazionale Comunista e del PC (Bolscevico) e alle discussioni bilaterali tra i partiti rappresentati nel Comitato Esecutivo dell'Internazionale Comunista.
L'esigenza di un'organizzazione internazionale dei movimenti operai rivoluzionari trae origine dal carattere internazionale della lotta di classe. La questione dell'unità ideologica e della strategia rivoluzionaria rappresenta un compito per ogni Partito comunista, e la misura in cui tale compito verrà svolto è la grande questione che affrontiamo oggigiorno.
Il XX Congresso del KKE (30 marzo-2 aprile 2017) ha confermato «che l'unificazione e lo sviluppo del movimento comunista internazionale è un compito costante e permanente del nostro Partito», «che trae origine dal carattere globale della lotta di classe». «Il movimento comunista internazionale è in ritirata: ha difficoltà a reagire all'attacco del nemico di classe, che viene attuato non soltanto attraverso la repressione, ma anche con mezzi politico-ideologici, attraverso l'influenza dell'opportunismo». Il KKE sta elaborando iniziative miranti a creare le condizioni che daranno impulso all'adozione di una strategia comune da parte dei Partiti comunisti - in varie forme, come l'Iniziativa Comunista Europea e l'«International Communist Review»; al tempo stesso, la formazione di un polo marxista-leninista all'interno del movimento comunista internazionale rimane tra gli obiettivi del nostro Partito. Il KKE è consapevole che «il processo di unificazione rivoluzionaria sarà lento, tortuoso, vulnerabile e dipenderà dalla capacità dei Partiti comunisti di rafforzarsi pienamente sul piano ideologico e organizzativo nei rispettivi Paesi. Occorre superare gli errori che hanno dominato il movimento comunista internazionale negli scorsi decenni e che vengono ripetuti oggi sotto varie forme. La creazione di forti basi all'interno della classe operaia, nei settori strategici dell'economia, e il rafforzamento della loro presenza nel movimento operaio» rafforzeranno ogni Partito comunista, coniugando l'azione rivoluzionaria e la teoria rivoluzionaria.
Lo slogan del Manifesto comunista, "Proletari di tutto il mondo, unitevi!" è ancora attuale.
Il Comitato Centrale del KKE
26/02/2019